sabato 8 marzo 2008

(Kabul) 8 marzo tra le Alpine

Anche in Afghanistan l’otto marzo viene celebrata la giornata delle donne. La condizione femminile non è paragonabile a quella che esiste nei paesi occidentali, specie dopo la parentesi talebana, che ha fatto registrare un balzo indietro nel tempo. Tuttavia, la situazione sta progressivamente cambiando: esiste un ministero degli affari femminili ed i dati sulla condizione femminile sono in miglioramento. L’accesso all’assistenza sanitaria si sta estendendo sempre di piu’, mentre il numero di bambine che frequentano la scuola e’ sensibilmente aumentato rispetto al 2001. Esistono comunque delle notevoli differenze tra le aree urbane e quelle rurali del paese. Particolarmente in queste ultime lavorano gli Alpini del nostro contingente, impegnati nel delicato compito di garantire un ambiente sicuro dove sia possibile promuovere la parita’ di diritti ed avviare un serio processo di ricostruzione. Nei ranghi del Contingente ci sono numerose donne, delle quali 22 appartengono al 2° Reggimento di Cuneo, con molteplici incarichi: comandanti, conduttrici, mitraglieri, fucilieri ma anche architetti, biologhe e addette stampa. In occasione della giornata a loro dedicata, abbiamo voluto incontrarne qualcuna per parlare della loro esperienza professionale e umana sicuramente fuori dal comune. Il Tenente Valeria Miciotto, 30 anni, di Borgo San Dalmazzo, laureata in scienze strategiche, è il vice comandante della 23^ compagnia del battaglione di manovra. E’ alla sua seconda esperienza in Afghanistan. La prima, sempre con il 2° Reggimento Alpini di Cuneo, nel 2006, l’ha vista quale prima donna impegnata al comando di uomini in un territorio estero che non fossero i Balcani. Attualmente la sua compagnia è responsabile nel mantenimento della sicurezza in alcuni distretti di Kabul. Tenente, lei è la seconda volta che partecipa alla missione di pace a Kabul. Il suo reggimento nella passata missione ha subito la perdita di 5 militari. Non ha provato remore all’idea di tornare? "Non direi, anzi siamo qui anche per onorare la loro memoria. Le eventuali remore si superano tramite l’addestramento e la consapevolezza di essere preparati. Il secondo reggimento alpini è alla sua quarta missione all’estero e prima di venire qui ha effettuato un ciclo addestrativo propedeutico di 5 mesi prima di essere immesso in teatro operativo. L’ambiente dove ci troviamo è complesso ma in ogni caso ho visto sensibili miglioramenti rispetto al 2006, quindi vuol dire che stiamo lavorando nella giusta direzione". Come si sente una donna a capo di più di cento colleghi maschi? Non ha mai avuto problemi nell’esercitare la sua azione di comando? "Anzitutto preciso che la compagnia la comanda un capitano e non la sottoscritta. In qualità di vice comandante ho sicuramente molte responsabilità. Esco spesso con le pattuglie per controllare gli ordini che ho contribuito ad impartire e non ho mai avuto problemi a essere l’unico ufficiale donna al reggimento. La differenza uomo-donna non conta quando gli ufficiali ti riconoscono come leader capace e determinato. E’ importante la professionalità e la preparazione". Ci dice un segreto per essere un buon comandante? "All’inizio sicuramente essere umili e saper ascoltare. Io ho avuto la fortuna di trovare in campo professionale degli ottimi comandanti e maestri. In secondo luogo è importante lo studio della missione che devi affrontare e non per ultimo fermezza e determinazione". Cosa fa la sua unità in Afghanistan? "La 23^ compagnia è impegnata in attività di controllo del territorio e di assistenza alla popolazione civile. Da due settimane poi un plotone dei nostri sta addestrando i militari dell’esercito nazionale afgano: attività di pattuglie, posti di blocco ma anche posti di osservazione e lezioni per riconoscere gli ordigni improvvisati. Tante attività, non si sta fermi un attimo". Poca tregua anche per il Primo Caporal Maggiore Roberta Zimbaro, 24 anni di origine calabrese ma residente a Borgo San Dalmazzo, diplomata, che incontriamo presso la base avanzata 'Impavida' che gli Alpini del 2° reggimento stanno presidiando a quaranta km a sud di Kabul per portare autorità, sicurezza e ricostruzione in una regione che, seppur vicina alla capitale, risulta essere isolata e remota per le asperità delle vie di comunicazione. La troviamo intenta a distribuire il rancio ai colleghi. Qui cadiamo nei luoghi comuni. Donna uguale fornelli? "No, assolutamente no - risponde il giovane caporale sorridendo -. Qui nella base siamo pochi e tutti devono saper fare tutto. Ieri sera ho smontato di pattuglia, oggi ero di riposo fino al primo pomeriggio ma ho visto i miei colleghi in difficoltà e non sono riuscita a stare con le mani in mano. Oggi li aiuto io, domani sarà il loro turno". Quindi grande cameratismo… "Beh, quello penso sia la base dell’essere militari. Gli alpini poi sono campioni di solidarietà, non trova?" Certo, certo… a proposito di solidarietà, quand’è stata l’ultima attività che avete fatto per la popolazione locale? "Ieri i miei colleghi hanno prestato assistenza sanitaria subito fuori dalla base. C’è un team di medici che cura gli afgani della valle che si presentano. Ogni volta ne vengono una cinquantina…" Ed è una cosa che viene fatta con quale cadenza? "Dipende… in media quattro volte alla settimana ma come le ho detto dipende dalle esigenze dei locali e dai nostri impegni. Oggi ad esempio, il capitano - parlando con il malek - ha avvertito che c’è ancora bisogno di capi invernali per la popolazione ed ha organizzato una distribuzione di indumenti che abbiamo raccolto a Cuneo prima di partire". Il progetto 'Granda-Kabul'? "Esattamente. Tre mesi prima di partire abbiamo iniziato una raccolta di fondi e di materiali di vario genere. Oggi distribuiremo una parte degli indumenti raccolti grazie alla generosità dei cuneesi". Responsabile della distribuzione degli aiuti raccolti in Patria è l’unità addetta alla cooperazione civile e militare. Questa non si occupa solo della distribuzione dei materiali e dei generi di prima necessità di cui la popolazione abbisogna ma anche della costruzione di infrastrutture, anche sulla base delle richieste degli anziani dei villaggi e dalle autorità governative. Inquadrata in questo nucleo abbiamo il Capitano Oriana Papais, 38 anni, friulana, architetto, militare della riserva selezionata e quindi tecnico civile che si è data disponibile, dopo un corso di addestramento per vestire l’uniforme, a mettere la sua esperienza professionale al servizio dell’Esercito per un periodo di sei mesi. Come mai questa decisione di lasciare la vita professionale e di abbracciare per 6 mesi l’esercito? "E’stata una decisione ben ponderata. Non si può liquidare in due battute. Così su due piedi direi per la curiosità di conoscere culture diverse ed ampliare il mio bagaglio professionale e culturale. L’esercito negli ultimi anni ha fatto un vero balzo in avanti dando la possibilità anche ai civili richiamati di poter mettere al servizio della comunità le proprie esperienze professionali per aiutare popoli lontani. E allora mi son detta, perché non farlo?" Qual è il suo compito adesso in Afghanistan? E’ alla sua prima esperienza all’estero? "No, questa è la mia seconda esperienza. Sono già stata nel 2005 a Herat, sempre in Afghanistan. Cosa faccio? Progetti per la costruzione o il restauro di scuole, asili, cliniche e pozzi. Due anni fa invece abbiamo ristrutturato il pronto soccorso dell’ospedale di Herat e ampliato la linea dell’acquedotto". Quali programmi avete in cantiere? "Al breve dovremmo iniziare i lavori per ampliare una scuola nella valle di Musahi vicino alla base avanzata degli Alpini a sud di Kabul. Attualmente gli studenti sono sotto tenda mentre noi vogliamo dargli una adeguata collocazione dentro un’infrastruttura. Oltre questo abbiamo inoltre intenzione di ristrutturare alcune cliniche e completare di servizi igienici molte delle scuole già esistenti nella nostra area di competenza. Stiamo studiando inoltre la possibilità di rifare gli argini del fiume Kabul in un quartiere cittadino e asfaltare alcuni tratti di strade". Ma una volta approvati i vostri progetti, il lavoro chi lo fa? Il genio militare? "No, io studio i progetti e la fattibilità. Una volta che questi sono approvati dal comandante del Contingente viene contattato il Ministero dei Lavori di Pubblici afgano che viene così coinvolto nel processo di ricostruzione. Quindi viene fatta una gara d’appalto e sarà una ditta locale a procedere alla realizzazione del progetto. Noi, infatti, siamo qui non per sostituire il governo afgano ma per assisterlo. E’ ovvio che la realizzazione delle infrastrutture viene delegata ai locali in modo da dar nuovi posti di lavoro e far crescere l’economia locale". Mi sa dire un’immagine o un avvenimento che l’ha particolarmente colpita in questa sua esperienza professionale un po’ fuori dall’ordinario? "Sono stata profondamente colpita dalla condizione femminile. Vede, per noi occidentali sembra incredibile che le donne possano vivere sotto un burqa o essere vittime di discriminazioni come lo sono state le donne qui in Afghanistan. Tornando a Kabul ho però visto un lento ma progressivo miglioramento. Confrontandomi con alcune funzionarie del Ministero dell’Educazione ho potuto vedere quanti sforzi la società afgana stia facendo per cambiare una situazione che durante il periodo talebani era davvero critica. Partecipando ad alcune attività di assistenza medica congiunta con gli afgani ho potuto inoltre vedere come tante donne si siano avvicinate a una professione che solo sei anni fa era a loro vietata. Insomma grandi progressi anche se c’e’ ancora tanta strada da fare". Sempre friulana e addetta ad una attività che a un primo approccio può sembrare poco militare è il Tenente Maria Rosa Bellino, 33 anni, biologa, del corpo ingegneri, in servizio a Kabul. Cosa ci fa una biologa a Kabul? "Analizza campioni di sostanze (terra, acqua, polvere) che la squadra campionamento giornalmente porta in laboratorio per verificarne l’eventuale contaminazione biologica". Avete mai riscontrato casi di positività alle analisi effettuate? "No ma il nostro team monitorizza continuamente la situazione". Un lavoro di laboratorio quindi"Non proprio. Quando gli uomini del contingente devono effettuare operazioni in terreni nuovi viene sempre chiesta la bonifica preventiva. Quindi usciamo parecchio…" Questa è la sua prima esperienza all’estero. Cosa l’ha colpita maggiormente? "La povertà del paese. I bambini che ti chiedono aiuto. La prima volta che sono uscita fuori dalla base ho visto un’immagine che mi è rimasta nel cuore. Un bambino che mi guardava coperto da una mantella sottile e completamente scalzo nella neve. Mi sono detta: non riuscirò mai ad abituarmi a queste immagini. E’ bello vedere però come la popolazione ci vuole bene. Ha bisogno di noi e noi siamo qui per loro". Il Caporal Maggiore Karima Miele, 24 anni, addetta alla pubblica informazione (P.I.), è alla sua seconda missione. La prima l’ha svolta come fuciliere sui blindati dell’Esercito a pattugliare le vie di Kabul. Adesso si occupa di fotografia e di tenere i rapporti con la stampa locale. Da fuciliere a fotografa / addetta stampa. Un gran cambiamento? "Sicuramente sì. Un lavoro completamente diverso. Serviva un’appassionata di fotografia da aggiungere al team P.I. e mi sono fatta volentieri avanti. I miei due colleghi sono molto bravi sia con la video camera che con la macchina fotografica ed è stato un vero piacere imparare i segreti del mestiere…" E quindi adesso cosa fa? "Quasi ogni giorno seguo le unità che escono in pattuglia. Scatto fotografie ed insieme al team riprendo i militari in attività, documento le loro impressioni. Il tutto viene poi raccolto ed inviato ai quotidiani e settimanali locali del Piemonte, essenzialmente". La vita del giornalista insomma… "Il nostro lavoro è quello di comunicare il lavoro del contingente italiano e degli Alpini in particolare. E siamo molto contenti quando il pubblico ci segue. Ultimamente ci siamo tolti qualche soddisfazione particolare visto che i nostri articoli e un nostro video sono finiti anche sul sito ufficiale della Nato in inglese". Concludiamo lo speciale per l’otto marzo con una battuta del Primo Caporal Maggiore Marina Berto, 26 anni, cuneese, fuciliere e radiofonista del plotone alpieri, unità di punta del reggimento. Di lei alcuni giornali del cuneese avevano già ampiamente parlato prima della partenza per l’Afghanistan in un articolo di dicembre. Sono passati due mesi. Le tue impressioni. "Rispetto a due anni fa ho visto un progressivo miglioramento. Molte strade che prima erano coperte di buche sono state asfaltate, sono state aperte nuove cliniche e nuove scuole. Ma la cosa che mi ha colpito di più è il rapporto con la popolazione nel distretto di Mushai. Al nostro passaggio la gente ci saluta, ci riconosce. Il merito è sicuramente della base avanzata costruita lì l’anno scorso che ci ha permesso di mescolarci alla popolazione e far capire loro che noi siamo portatori di pace e non forze d’occupazione".

1 commento:

Anonimo ha detto...

Le donne e'meglio che stiano a casa, soprattutto le riserviste!!!